A seguito della perdita, del tutto inaspettata, dei genitori con i quali aveva ormai stabilito un rapporto di vera e profonda amicizia e complicità, Paolo rinunzia, dopo l’incarico di Colonia, ad una seconda sede estera, e decide di rientrare in Italia sia per riordinare la situazione patrimoniale di famiglia che per ritrovare se stesso dopo due così gravi lutti.
Onorare la memoria dell’impegno culturale e sociale dei genitori diventa quindi una delle sue priorità più sentite. Memore dei successi del salotto di via Fauro, il cui appartamento, troppo carico di ricordi, ha provveduto a lasciare definitivamente, e spinto da quelli tra i frequentatori che avevano mostrato maggiori sentimenti di amicizia e di stima, Paolo decide di riprendere quella che era stata una possibilità già ventilata in passato dai genitori, una forma di istituzionalizzazione del salotto, ma in un quadro diverso e forse più compatibile alla sua attività professionale.
E’ così proprio in tale ottica, che Paolo nell’ottobre 1999 costituisce in memoria dell’impegno culturale e sociale dei genitori la “Fondazione Francesco Paolo e Annamaria Ducci” con il fine di operare nei campi economico-sociale, scientifico, culturale ed artistico, nonché in quello della ricerca storico-politica, al fine di favorire, nello spirito di quel Rinascimento, che ha raggiunto in Italia i suoi culmini più elevati, l’affermazione di quei patrimoni di pensiero e di creatività che costituiscono le componenti peculiari della civiltà europea, soprattutto a fronte delle modifiche che la globalizzazione in atto potrebbe apportare alle concezioni di indipendenza delle idee e di affermazione delle qualità intellettuali ed emozionali dell’individuo.
La ricerca e l’approfondimento comparati di tematiche nei campi succitati nell’ambito del continente europeo, così come dei temi inerenti i rapporti internazionali ad esso relativi, anche nel loro sviluppo storico, la promozione di eventi e momenti di riflessione con l’intento di favorire la circolazione ed il confronto delle diverse anime della cultura europea nelle sue molteplici espressioni, in un processo di allargamento e d’integrazione della realtà istituzionale che non annulli, ma valorizzi le diversità, rappresentano gli strumenti di base attraverso i quali la Fondazione opera per il raggiungimento degli obiettivi che essa si prefigge.
Particolarmente attenta ai notevoli cambiamenti emergenti nella società attuale, in rapporto anche alle grandi problematiche demografiche e della nutrizione, ecologiche e dell’ambiente, la “Fondazione Francesco Paolo e Annamaria Ducci” si propone di perseguire il suo scopo, nel quadro di uno sviluppo armonico delle differenti tendenze religiose, filosofiche ed ideologiche, soprattutto nell’ottica di una ricomposizione della frattura e della successiva contrapposizione verificatesi tra scienze umanistiche e scienze tecniche, con una particolare attenzione al confronto ed al dialogo tra le grandi culture mondiali, al recupero delle civiltà minacciate ed al contributo che l’Unione Europea può fornire per uno sviluppo economico-sociale dei Paesi dell’est europeo e di quelli del Terzo mondo, compatibile con la loro identità culturale.
Lo spirito con cui la Fondazione si prefigge il raggiungimento degli obiettivi summenzionati è quello comunque di contribuire a restituire all’Italia e ad alcune città e regioni italiane in particolare (Roma, la Toscana, Napoli, Venezia, Bologna etc.), da sempre terra di arte e di cultura, quella centralità nella vita culturale europea che le ha permesso nell’epoca rinascimentale di svolgere un ruolo guida a livello mondiale, con un’attenzione particolare alle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Vive la sua prima adolescenza in un ambiente culturalmente stimolante, grazie soprattutto al circolo di intellettuali ed artisti che il padre, Domenico Antonio, mecenate, collezionista d’arte e grande viaggiatore, trasferitosi nel 1919 a Napoli, all’epoca metropoli cosmopolita, fuggendo quella che definiva la “statica e conservatrice mentalità della pur bellissima provincia toscana”, ha creato intorno a sé.
L’eclettismo di interessi che da tale ambiente ne deriva, porta Francesco Paolo a trascurare lo studio sistematico, nonostante gli istitutori privati dai quali il padre lo fa oculatamente affiancare. La pittura, il modellismo militare e la lettura della narrativa italiana e straniera costituiscono, infatti, le sue principali occupazioni.
L’idealismo ideologico dominante, reso più cogente dall’entrata in guerra dell’Italia, congiunto all’innato senso di avventura e al desiderio di conoscenza lo portano a decidere, in contrasto ai voleri paterni, di interrompere il suo corso di studi e a partire, ancora giovanissimo, nel 1941 volontario per l’Africa, da dove ritornerà soltanto nel 1946. La lunga prigionia cui è sottoposto (1943-1946), oltre a stemperare gli ardori giovanili, lo costringe ad una maturazione forzata.
Grazie ad una serie di circostanze favorite in parte dal padre, nell’ultimo anno di prigionia, viene trasferito al Cairo, dove gli vengono assegnati compiti di bibliotecario, che assolve con grande passione e che gli permetteranno di approfondire le sua preparazione forzatamente interrotta.
Rientrato quindi da adulto a Napoli, completa le scuole superiori, intraprendendo poi gli studi giuridici. Può inoltre riprendere i contatti con la Toscana, dove, oltre a curare gli interessi di famiglia che il padre gli affiderà in via esclusiva a partire dagli inizi degli anni ’50, ha la possibilità di entrare in rapporto con gli ambienti culturali fiorentini e senesi, che, grazie all’insediamento, soprattutto nell’area del Chianti, a partire dal dopoguerra, di una colonia di intellettuali stranieri, principalmente inglesi e francesi, vanno acquisendo una nuova dimensione internazionale.
La grande trasformazione della sua vita, tuttavia, anche in senso culturale, avviene quando, alla fine degli anni ’40, in una Napoli ancora pesantemente segnata dalla guerra ma desiderosa di riscatto e di rinascita, incontra, ad uno dei primi grandi eventi sociali, una giovanissima aristocratica napoletana : Annamaria Ferraro di Silvi e Castiglione.
Di antica casata napoletana, già legata alla corte borbonica, che annovera alcuni illustri giuristi, trascorre la sua adolescenza nei terribili anni della II guerra mondiale.
Il padre, Edmondo, che ha vissuto il magico periodo della Napoli culturale e mondana tra le due guerre – dal dandismo degli anni ’20 a quegli anni ’30 che, grazie alle influenze francesi, inglesi ed americane, segnano la fase più internazionale della città – già animatore della scena culturale cittadina, amico di Farouk d’Egitto e di molti altri personaggi che avevano stabilito nella città partenopea la loro residenza o vi avevano soggiornato a lungo, e la madre, Giuseppina Di Ciò di Mirabella, allevata nell’esclusivo educandato Poggio Imperiale di Firenze, frequentato negli stessi anni anche dalle fanciulle di casa Savoia, di straordinaria bellezza, ma ritrosa ed introversa, s’incontrano e si sposano quando sono entrambi più che trentenni.
Edmondo, di spirito liberale, non aderirà mai al fascismo, e tale impostazione ideologica lascerà una traccia significativa nella formazione della piccola Annamaria.
I bombardamenti su Napoli, che a partire dal 1943 diventano sempre più incessanti, costringono la famiglia a lasciare il palazzo di città e a rifugiarsi in campagna nei possedimenti di Gragnano. Annamaria, pur se giovanissima, mostrando già così la sua intraprendenza ed il suo spirito d’iniziativa, organizza il ménage familiare e coordina il lavoro dei giardinieri, ma senza trascurare ciò che maggiormente l’affascina : la letteratura ed in particolare la poesia. Sono proprio di questo periodo le sue prime composizioni in rima.
Il rientro a Napoli, nel 1946, e la ripresa degli studi non rallentano, ma anzi ravvivano la sua passione e gli incontri con alcuni intellettuali napoletani, amici di famiglia, la incoraggiano a impegnarsi più intensamente. È proprio in quegli anni che ella scopre il suo interesse per l’arte, soprattutto quella classica. Tuttavia, non manca di dedicarsi insieme ai genitori ad attività di solidarietà nei confronti dei più colpiti dalle conseguenze della guerra.
Francesco Paolo comincia insieme ad Annamaria, e principalmente grazie a lei, un intenso percorso di ricomposizione interiore e di maturazione culturale che lo porterà ad una organica rivisitazione delle sue precedenti esperienze e che lo guiderà, soprattutto, senza rinnegare il suo passato, ma anzi valorizzando alcune sue naturali inclinazioni, ad una reimpostazione del suo percorso di vita.
Iniziano allora i primi contatti con gli ambienti letterari e intellettuali di una Napoli che, pur nell’effervescenza di idee ed azioni, stenta, costretta allo stallo da una nuova classe dirigente interessata più al sacco edilizio che alla rinascita della città, a riaffermarsi nel ruolo di capitale culturale e internazionale che le era proprio prima della II guerra mondiale.
Alla fine degli anni ’50 la giovane coppia, già allietata dalla nascita dei primi due figli Paolo e Domenico (Daniela verrà successivamente), decide di dotarsi di un pied-à-terre a Roma, in via XX Settembre, dove, pur continuando a risiedere di regola nella città partenopea, trascorre lunghi periodi.
Ciò rappresenta nel mènage di Francesco Paolo e Annamaria un vero e proprio salto di qualità, in quanto permette loro un significativo ampliamento degli orizzonti culturali. Lo charme infinito della Roma della dolcevita, l’internazionalità della Capitale, la vitalità dei suoi circoli intellettuali li affascinano ed entrambi ne rimangono completamente coinvolti e conquistati.
I contatti con gli ambienti internazionali romani stimolano, inoltre, la curiosità e l’interesse della giovane coppia per le altre culture e, a partire dalla metà degli anni sessanta, comincia quindi la stagione dei viaggi, che durerà praticamente per tutta la loro esistenza. Dapprima l’Europa e la regione mediterranea, la Francia, la Spagna, il Portogallo, la Germania, l’Austria, la Svizzera, la Jugoslavia; poi le antiche civiltà: la Grecia, la Turchia e l’Egitto; non disdegnando le realtà d’oltrecortina: la Bulgaria, la Romania, l’Ungheria, la Cecoslovacchia e dell’Africa del Nord: il Marocco, l’Algeria, la Tunisia.
Il loro stile di viaggiare si avvicina più a quello degli esploratori dell’ottocento che non al turismo nella sua accezione contemporanea che, de facto, all’epoca non esiste, almeno per quanto riguarda gli Italiani. La ricerca della conoscenza, il contatto con gli autoctoni, l’approfondimento degli aspetti culturali più reconditi e nascosti caratterizzano infatti i loro tours. Un’altra passione è intanto subentrata in Francesco Paolo: l’arte culinaria ed i viaggi forniscono una grandiosa occasione per coltivarla.
Gli anni settanta e ottanta vedono poi Francesco Paolo e Annamaria muovere alla volta dei continenti extra-europei: dalla Tailandia all’Australia e alla Nuova Zelanda, dall’Indonesia all’Alaska, dal Pacifico, che percorrono in lungo e in largo, al Giappone, dove, affascinati dalla così diversa e così profonda realtà nipponica, decidono di trascorrere un intero mese.
Tuttavia, nel frattempo, nel 1973, qualcosa di rilevante avviene nella loro vita. Francesco Paolo e Annamaria trasferiscono la loro residenza romana ai Parioli, in via Ruggero Fauro.
Nel nuovo appartamento dei Parioli, che Annamaria ristruttura e arreda tenendo in particolare conto gli spazi per accogliere gli amici, la coppia si propone di radunare esponenti della cultura, dell’arte, della politica, della diplomazia. Da subito si aggiunge, quale indispensabile corollario al “progetto”, una nuova protagonista : Alba, una cuoca eccezionale, che lascerà il segno nella società romana.
A partire dalla fine degli anni ’70, Francesco Paolo e Annamaria aprono dunque la loro residenza romana agli artisti e, grazie alla collaborazione della pittrice ungherese Eva Varsanyi, da tempo stabilitasi a Roma, hanno luogo una serie di esposizioni di giovani pittori soprattutto stranieri.
I rapporti instauratisi con i direttori di numerose accademie a Roma, in particolare dell’Accademia di Francia, permettono inoltre di entrare in contatto non solo con gli artisti che vi soggiornano (alcuni di essi vengono invitati ad esporre a via Fauro) e con tutto il mondo intellettuale che normalmente le frequenta, ma soprattutto con i grandi “culture makers” che animano la vita culturale della Capitale degli anni ’80.
Francesco Paolo e Annamaria soggiornano regolarmente a Roma dal giovedì alla domenica di ogni settimana. Ciò permette loro, senza recidere i legami con Napoli, di godere della vita culturale romana e di alimentare nel contempo una fucina di idee e di opinioni.
Intanto, soprattutto il giovedì sera, il salotto culturale ospita esponenti di rilievo della società e del mondo culturale, e sempre più se ne aggiungono a partire dagli inizi degli anni ’80 . Per il salotto di via Fauro passano quindi ministri, diplomatici, scrittori e giornalisti, critici d’arte, direttori di musei e generali, cardinali, artisti e musicisti, politici e imprenditori.
Annamaria, che continua ad approfondire la sua passione per l’arte del sei-settecento, pubblica alcuni articoli sulla pittura napoletana di quel periodo, ma non tralascia la sua passione primaria per la poesia e incoraggia giovani poeti, sostenendoli anche economicamente.
Francesco Paolo, europeista da sempre, consolida le sue convinzioni sulla necessità di un rapido, ma approfondito, processo di integrazione dei Paesi del Vecchio Continente, ma inizia altresì a mostrare interesse per l’aiuto allo sviluppo ai Paesi del Terzo mondo, visto soprattutto come strumento per un dialogo tra le diverse culture, e prende a collaborare all’attività di alcune società che operano nel settore della cooperazione, tra le quali l’Istituto Italiano per lo Sviluppo e la Cooperazione Internazionale, divenendone membro del CdA.
Intanto, nel 1989, rientrato da un lungo periodo trascorso all’estero, anche il primogenito Paolo, diplomatico di carriera, s’inserisce con entusiasmo nell’organizzazione del salotto e apporta un suo proprio contributo ampliando il ventaglio delle tematiche, apportandone di nuove e stimolanti, e della tipologia degli ospiti. Molti stranieri, infatti, inseriscono nell’ambito del loro tour italiano una visita al salotto culturale di casa Ducci.
L’attività va sempre quindi sempre più intensificandosi, e, contestualmente, la fama del salotto crescendo. Gli anni dal 1989 al 1994 sono in effetti da considerarsi come il suo periodo più proficuo e vitale, sia per la varietà degli ospiti che per la presenza di alcune personalità di grande rilievo. Solo la malattia di Francesco Paolo, e la contestuale partenza di Paolo per la Germania portano a rallentare il ritmo degli incontri e dei convivi . L’aggravarsi delle condizioni di Francesco Paolo e la sua morte nel maggio del 1996 sembrano chiudere definitivamente il sipario sul salotto culturale Ducci e sulla sua vivace e poliedrica attività.
Ma Annamaria, dopo alcuni mesi di smarrimento, reagisce con la sua ben nota forza di volontà: intraprende dapprima alcuni viaggi, effettuando tours culturali in Europa, quindi rinnova completamente l’appartamento di via Fauro, intenzionata a riaprire il salotto. Grazie al sostegno degli amici più intimi, agli inizi del 1998, il salotto culturale di via Fauro nasce a nuova vita. All’improvviso però agli inizi di giugno, Annamaria viene colpita da un aneurisma cerebrale. Si spegne quindi, dopo alcuni giorni di coma, il 5 giugno.